La gestione dei volontari
Il nostro rifugio viene gestito interamente da volontari, perché il giro d’affari non consentirebbe ad un gestore di farcela, e anche perché lo spirito della nostra gestione è quello di offrire un servizio.
Quello che era partito come un sogno oggi è diventata una realtà complessa, che richiede, per coprire tutto il periodo di apertura, un minuzioso lavoro a incastro tra tutti i gestori, per garantire sempre la giusta presenza. La fatica è molta, perché nessuno di noi è un vero ristoratore o albergatore, e oggi, per fortuna, la montagna è davvero molto frequentata.
Ci sono giornate difficili, che coincidono con feste e ricorrenze, e ci sono da considerare le ferie dei volontari, i loro impegni di lavoro o studio, visto che sono molti i giovani che si mettono in gioco.
Ma rifugio è anche manutenzione continua, così, a lato di chi lavora al complesso meccanismo della gestione, c’è un efficientissima macchina da guerra che lavora senza sosta, con tanto di reperibilità telefonica. E, quando si mette male, questo gruppo si mobilita rapidamente per interventi in loco a tempo di record, considerando i 900 metri di dislivello che separano il rifugio dalla quasi civiltà, o meglio dalla partenza del sentiero.
Ultimo, ma non certamente per importanza, il gruppo degli sherpa, che intervengono con marce di rifornimento a spalle ogni qualvolta il rifugio chiama. Mancano uova, serve il prezzemolo (siamo in Piemonte e le acciughe al verde non possono mancare!), si è rotta la macchinetta del caffè, è finito il pane fresco, che va garantito tutti i giorni… e così via.
Li vedi sbucare con zaini o bastini, spesso caricati all’inverosimile, alla “Cara d’Uslur”. Li riconosci dal passo e sei felice di vederli. Riconoscente perche ti hanno soccorso in un momento di difficoltà, prepari loro torta e caffè, poi ti concedi quattro chiacchiere, tra “veri” compagni di squadra.
In questo modo transita su quel sentiero tutto ciò che non è stoccabile o quello che, nonostante il lungo lavoro invernale di costruzione del magazzino, è finito prima del previsto.
E ogni anno, a fine maggio, quando si apre e inizia una nuova stagione, tutto funzionerà quasi per magia. Appunto, “quasi”.
Nel fine settimana la parola passerà all’accoglienza, agli ospiti, ai gestori più navigati e a quelli nuovi, alla voglia di condividere storie personali, di rifugi, di camminate, di bimbi contenti di essere arrivati fin lì, di cani e padroni più o meno abituati ad andar per monti. Di quelli che passano di corsa e non si fermano, di chi arriva tutto rosso in viso e per la prima mezz’ora non parla.
Sarà il tempo della gente di montagna e di pianura che per un giorno metterà in comune una manciata di minuti adatti a bere una birra, un tè caldo, il caffè oppure un buon pasto fatto non solo di primo e secondo, ma soprattutto di chiacchiere e voglia di stare insieme a 2000 metri. In fondo il bello di gestire da volontari è anche questo: non dover badare al profitto, ma alla qualità del vivere, aiutati da tanta bellezza che fa da cornice a giornate impegnative, di sole e di nebbia e di sere dove le luci di Torino, in lontananza, ci faranno compagnia.
Due non è il doppio ma il contrario di uno, della sua solitudine. Due è alleanza, filo doppio che non si spezza.
https://www.youtube.com/watch?v=7wR7esHXiOs
La prima luce che si accende è quella della cucina, il rifugio dorme ancora.
A 2000 metri è così che si comincia. Odore di caffè, tazzina e pensieri liberi, seduti sui gradini.
Si riprende il vivere in quel tempo del giorno che sta in equilibrio tra ciò che rimane dello scuro e l’esplodere del sole sulla città.
Una luce rossa si allarga nel cielo, illumina le montagne. In basso le vacche si muovono.
Riprende a ritmo misurato l’andar per sapori, dopo la notte passata immersi nel profumo delle torte, preparate la sera per i primi passanti.
Un quaderno azzurro funge da guida ai nostri menù. Raccolta di saperi e sapori del gruppo, volontari che gestiscono e diventano cuochi, ristoratori, albergatori, un po’ guide, un po’ amici, quasi sempre chiacchieroni.
Qui alla Balma, in alta val Sangone, abbiamo scelto di usare solo ingredienti del territorio, perché questo fa del bene anche alla fragile economia di montagna.
Così che sul grande tavolo della cucina passano antipasti, sughi, secondi, verdure e dolci, in un magico intreccio di odori e mani più o meno sapienti.
Sono con noi donne e uomini di altri tempi, che ci aiutano a realizzare vecchie ricette, appartenenti alle storie familiari di ogni volontario, perché offrire alimenti a “chilometro zero” è anche rispettare le usanze, seguire un preciso calendario culinario che passa dalla polenta taragna fino ad arrivare alle crostate. Farine di mulino, burro da pascolo, carne, affettati e vini piemontesi.
A tutto questo fanno da contorno le mille chiacchiere che ci parlano di amici, di frequentatori vecchi e nuovi. Di gente da verdure, di altri che apprezzano gli affettati e il formaggio d’alpeggio, polenta e “fricandò”, accompagnati da un buon bicchiere di vino e seguiti dal caffè e dal “pusa cafè”.
Pane cotto in quota, un misto di farina integrale, segale, semini… e tanto lavoro e impegno, perché sia tutto buono, ma soprattutto affinché ce ne sia abbastanza.
Dedicato a chi vuole conoscere la storia di un alimento.
Sapere da dove viene.
Sedersi a tavola e immaginare le mani che lo hanno coltivato, allevato, lavorato, trasformato.
Le spalle che lo hanno portato.
Chiacchierare e decidere cosa mangiare insieme a chi lo ha cotto.
Insomma mangiare circondato da montagne e sapori “alti”.